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Una sentenza progressiva sul "dolo eventuale" PDF Stampa E-mail
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PeggioreMigliore 
Inviato da Pietro Diaz   
venerdì 09 aprile 2010
La "aggiunta" giurisprudenziale, connivente o complice la "dottrina" più opaca, all'unica specie codificata, il "dolo intenzionale" ("secondo l'intenzione": art. 43.1 cp), del "dolo eventuale", dopo sessantanni (circa) di oltranzismo, della mistificazione di esso nella colpa (al precipuo fine di infliggere all'illecito colposo la maggiore pena dell'illecito doloso, di punire "esemplarmente" quanto ad avviso del giudice, benché non della legge, lo meritasse), oggi, con la sentenza esposta, ha un ripensamento...

non basterebbe (più) la "accettazione del rischio", dell'evento, ma occorrerebbe l'"accettazione" di questo...
alla invenzione extralegale del "dolo eventuale" (figura storica, in verità, ma operante, già, in tutt'altri contesti giuridici...) era (ovviamente) seguita quella dei suoi strumenti concettuali, (appunto) la "accettazione", del "rischio" o dell' "evento"...

pertanto, del tutto estranea, anch'essa, agli elementi legali del dolo, come della colpa (della preterintenzione di quant'altro)... del primo, (solo) la "coscienza" e la "volontà" della azione (o della omissione), per art. 42.1 cp, e (solo) la "prev"isione e la "vol"izione dell'"evento", per art. 43 cit; della seconda, (anche) la incoscienza e la involontà ("volontà") della azione ( o della omissione), per art. 43.3 cit., e (anche) la imprevisione (ma solo) la involontà, dell'"evento"

ove la "accettazione" (del "rischio" o dell' "evento"), come si vede, è del tutto ignota, ad essi, quale "elemento psicologico" (in tutto o in parte) di qualunque reato...

per ciò, di essa, se ne (sarebbe potuto e ) potrebbe dire non più che colloquialmente, e comunque (pur deprecabilmente) quale sinonimo, mai quale eteronimo, di quelli...

potendo per nulla, infatti, essa, teorizzare la differenza del dolo dalla colpa, dell'illecito doloso dall'illecito colposo... sia quando, quale "accettazione del rischio", non abbia un evento con cui differenziarli ("nei reati di pericolo")... sia quando, quale "accettazione dell'evento", non abbia un "rischio", con cui differenziarli ("reati di danno")...

d'altronde, quando l' "accettazione" si dedicasse ad operare (esclusivamente) su essi ("rischio ed evento"), impedirebbe all'unico "elemento psicologico" (legale) differenziale dei due illeciti, la "volontà" (la previsione potrebbe essere comune a questi, come sopra cennato) di fungere... la volontà avendo sempre (nell'illecito doloso), avendo mai (nell'illecito colposo), ad oggetto, essi...

e non solo le impedirebbe di agire (concretamente), ma ne saboterebbe irrimediabilmente la funzione (sistematica) se, come è detto nella sentenza, l' "accettazione dell'evento" darebbe "dolo eventuale" anche se, l' "evento", fosse "non direttamente voluto"... quindi, anche se, per legge (art. 43.3) , ciò darebbe colpa... e anche se, per giurisprudenza, dolo e colpa, per ciò, diverrebbero indistinguibili...

e se, la distinzione, fosse affidata all'avverbio "non direttamente voluto" , l' "evento", sottinteso che, "indirettamente", esso sarebbe voluto... lo si dovrebbe sottintendere anche nella colpa, del cui evento potendosi ugualmente dire che è "non direttamente voluto";

mentre, se si sottintendesse che, nella colpa, non solo "direttamente" ma anche "indirettamente", l'evento, non sarebbe voluto, andrebbe spiegato come, e su quali basi (logiche o testuali ), ciò dovrebbe accadere...

dunque, la "accettazione" ha teorizzato il "dolo eventuale" risucchiando tutti gli "elementi psicologici" legali, quelli inerenti la azione (o la omissione), inerenti l'evento, inerenti il rapporto tra essi... e tanto quelli costituenti il dolo quanto quelli costituenti la colpa...

risucchiandone, per ciò, anche gli (intrinseci) elementi "materiali", la azione (la omissione), l'evento, tutto l' "elemento oggettivo" del reato (tanto che, nella sentenza, il substrato della "accettazione", in concreto la azione del conducente la vettura omicidiaria, è sostituito da una omissione: "non desistendo l'agente dalla sua condotta....")...

ed in quanto elemento "psichico", interiore (se non "intimo"), conoscibile solo "psicologando", ne ha smaterializzato l'accertamento...

tal (completa) dissoluzione, invero, a causa del (e causando) la illusione che le differenze tra i due illeciti ( e tra essi ed altri) fossero traibili dall'uso, della "accettazione" (benché talora accettabilmente sinonimo, anziché eteronimo, di "prev"isione, pur solertemente distinta in "astratta", nell'uno, in "concreta", nell'altro) del "rischio" o dell'evento...

come se, il reato, non fosse fatto (anche) di azione ( o di omissione)...

o come se, il "rischio" o l'evento, ad esse fossero (causalmente) sconnessi...

o come se. il "rischio" o l'evento, nei due illeciti, fossero tipologicamente identici...,

e se, quindi, identiche, tipologicamente, fossero la azione ( o la omissione)...

e se quindi, identico fosse il rapporto tra essi...

mentre (tacendo di tante altre differenze, qui nemmeno accennabili)... l'azione ( o la omissione nel suo "circostante", l'aliud agere) che "inten"da, e che per ciò sia "inten"ta, sia diretta "secondo la intenzione" (dell'agente che la disponga, con dolo inerente),a causare il "rischio" o l'evento..., ben cosciente e prevedente e volente ciò, quale sua conseguenza...

(essa) nient'affatto somiglia, tipologicamente, alla azione ( o la omissione nel suo circostante, l' aliud agere) che non "inten"da, e che per ciò non sia "inten"ta, non sia diretta "secondo la intenzione" (dell'agente che la disponga) a causare il "rischio" o l'evento, quale sua conseguenza... ben cosciente, e volente, anche se (talora) prevedente (art. 43.3., 61.3 cp)ciò..., o (tanto più) se incosciente e involente (e ovviamente) imprevedente ciò (per atti automatici o riflessi o subcoscienti...)....

perchè, ciò, (immancabilmente) "contro l'intenzione" (art. 43.3.cp);

come nient'affatto somigliano, tipologicamente, il "rischio" o l'evento che (rispettivamente) conseguano o seguano esse..

e nient'affatto somigllano, tipologicamente, i rapporti, di conseguenza o di seguenza (rispettivamente), di essi ad esse;

(in parafrasi), differiscono tanto quanto il fare ed il cagionare, alcunché... e tanto quanto questo, quale effetto dell'uno o dell'altro... e tanto quanto il (rispettivo) rapporto di effettualità tra essi...

un differire tipologico ( morfologico, ontologico, nomologico), specchio di quello legale, dell'illecito doloso dall'illecito colposo...

tutt'altro, ovviamente, da quanto esponga la giurisprudenza (che comunque, col passo avanti, della sentenza, verso l'evento, ha imposto due passi indietro al "dolo eventuale"), a cui capacità ( e volontà) di adesione alla complessità (in cui pure opera imperativamente ) è racchiudibile nell'incitamento, della requisitoria del PG...,

per il "dolo eventuale" ( in un comune "sinistro stradale"...)....

contro "il modello giovanile della cultura della morte"...

per " il principio della sacralità della vita"...

Reato di ricettazione, la Suprema corte scioglie i dubbi sull'elemento soggettivo che lo configura.
Sì al dolo eventuale, ma non può desumersi solo da un mero sospetto.
Sezioni unite penali, sentenza n. 12433/10; depositata il 30 marzo.
Il reato di ricettazione è configurabile anche solo in presenza di dolo eventuale, ma l’accertamento di un siffatto elemento soggettivo non può basarsi su semplici motivi di sospetto. Così hanno esordito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 12433/10, che ha segnato un momento risolutivo per tutti i quesiti e le distinte prospettive costruite attorno alla questione di specie. Da tempo si erano cristallizzate su quest’argomento due correnti giurisprudenziali contrapposte. Un primo orientamento, tendente a negare la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione, ha fatto ricadere le ipotesi caratterizzate da un tale elemento psicologico sotto la categoria dell’art. 712 c.p., ossia “incauto acquisto”. Secondo quest’ultima corrente l’elemento necessario per la ricettazione esigeva la piena consapevolezza della provenienza delittuosa del bene, non essendo sufficiente la rappresentazione dell’eventualità che la cosa acquistata o ricevuta fosse stata il frutto di un delitto, perché si sarebbe tradotto in un mero dubbio. Su una sponda opposta si è installato l’ulteriore orientamento giurisprudenziale che, in virtù del principio per cui le contravvenzioni (fra cui rientra il reato di incauto acquisto) sono di natura esclusivamente colposa, ha ravvisato un’ipotesi di ricettazione in tutti i casi in cui la condotta dell’agente era sorretta da un dolo anche solo eventuale. In un contesto in cui l’adesione all’una o all’altra delle tendenze giurisprudenziali è derivato, per la maggior parte dei casi, da scelte non argomentate che hanno prescisso da un dibattito sulle caratteristiche del dolo eventuale, il primo punto da chiarire ha riguardato l’applicabilità della categoria del dolo eventuale, elaborato principalmente nella materia dei reati di evento, ai reati non causalmente orientati. Secondo gli “ermellini”, l’elemento psicologico del reato è costituito, prima che da una componente volitiva, da una componente rappresentativa che investe il fatto nella sua complessità. Dunque, sono ricompresi non solo gli effetti della condotta ma anche gli altri elementi della fattispecie. Perciò, se si ritiene che il dolo sia costituito dalla rappresentazione e volizione del fatto anti-giuridico o anche, nel caso del dubbio, dalla sua accettazione, alla quale si ricollega la particolare costruzione del dolo eventuale, non c’è ragione di distinguere il caso in cui il dubbio cade sulla verificazione dell’evento da quello in cui cade sul suo presupposto. Sia in un caso che nell’altro l’agente si rappresenta la possibilità di commettere un delitto e ne accetta la realizzazione. Già in dottrina è stato affermato che l’agente deve rappresentarsi l’esistenza dei presupposti come certa o come possibile , accettando l’eventualità della loro esistenza, sicché ci si può trovare in presenza di dolo eventuale quando chi agisce si rappresenta come possibile (ma non certa) l’esistenza di presupposti della condotta e, pur di non rinunciare ai vantaggi che se ne traggono, accetta che il fatto possa verificarsi. Fatta una tale valutazione, il passo successivamente compiuto dai giudici di legittimità ha tracciato i limiti che definiscono il rapporto tra i reati di ricettazione e di incauto acquisto. Secondo la Cassazione nessuno dei due orientamenti precedentemente esposti è da condividere pienamente: entrambi giungono a conclusioni esasperate. Infatti una corrente giurisprudenziale arriva all’eccesso di espungere dalla fattispecie ex art. 712 c.p. anche i casi in cui l’agente abbia un mero sospetto. Al contrario, l’ulteriore orientamento fa ricadere ingiustificatamente nella categoria dell’incauto acquisto tutta l’area che il dolo eventuale potrebbe occupare nel reato di ricettazione, sicché il relativo delitto sarebbe prospettabile solo nei casi in cui l’agente abbia la certezza della provenienza illecita del bene ricevuto, mentre sarebbe configurabile unicamente la contravvenzione ex art. 712 c.p. in tutti i casi in cui, pur non essendoci elementi da cui trarre la certezza della provenienza della cosa da delitto, l’agente sia ben consapevole della concreta possibilità che la cosa provenga da un’azione illecita e ne accetta il rischio. In particolare, sottolineano le Sezioni Unite, la differenza tra i due tipi di reato è strutturale: se si conviene che la contravvenzione sussiste anche quando, in presenza di motivi di sospetto, la provenienza illecita della cosa non viene accertata è ragionevole concludere che tale provenienza non faccia parte del relativo elemento soggettivo del reato. Ne consegue l’insostenibilità dell’assorbimento nell’incauto acquisto dei fatti di ricettazione sorretti da dolo eventuale. Sono, infatti, i motivi di sospetto tipizzati ce caratterizzano l’incauto acquisto. Una volta stabilito che la ricettazione può essere fondata anche sulle basi del dolo eventuale, ai giudici di legittimità resta da mettere in chiaro le modalità di accertamento dello stesso, posto che un tale elemento soggettivo non può desumersi da semplici motivi di sospetto. Per la ricettazione occorrono, infatti, circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto. Sicché un ragionevole convincimento che l’agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano palese la possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non pretendendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero sospetto. In altre parole si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, noncuranza o mero disinteresse; mentre per la configurazione del dolo eventuale è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco che impone in capo all’agente una scelta consapevole tra l’agire o il non agire. Volendo utilizzare i termini propri della figura del dolo eventuale elaborati in dottrina, si può concludere che nella ricettazione un siffatto dolo è ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza.
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