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Offensività PDF Stampa E-mail
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Scritto da Administrator   
sabato 08 luglio 2006
Il principio di offensività, che regolerebbe l'illecito penale, che sarebbe traibile dall'art. 49.2 c.p. (ma le opinioni dissentono, o perchè la norma regolerebbe negativamente solo l'illecito tentato, o perchè la norma regolerebbe solo lo scarto tra la conformità al tipo e l'offesa, quando l'offesa non fosse elemento costitutivo del tipo, o perchè la illazione del principio sarebbe fallita alla stregua della critica della illazione che lo sostiene), sarebbe comunque traibile, e con forza di principio costituzionale, dalla combinazione degli artt. 25.2.3, 27.1.3.. Che esporrebbe la diversità funzionale della pena e della misura di sicurezza: la pena a funzione retributiva, la misura di sicurezza a funzione preventiva, e dunque la pena quale retribuzione della offesa, non dell'autore di essa, anche se pericoloso: la misura di sicurezza quale prevenzione, non dell'offesa (evidentemente in questo quadro) ma dell'autore pericoloso.Senonchè, anzitutto, la pena risponde anche all'autore, ex art. 133.2 c.p., ed anche ex art. 27.3 cost.. E la misura risponde all'offesa, ex art. 202. c.p., e dunque ex art. 25.3 cost.. E peraltro, la pena risponde all'offesa, ex art. 133 c.p., e la misura risponde all'autore, ex art. 203 c.p..
D'altronde ancora, la pena e la misura non rispondono diversamente all'autore, ex art. 27.3 cost., ed ex art. 203 c.p.p.: prevengono reati.
Dunque, se la pena risponde all'autore e la misura ugualmente, se entrambe rispondono alla offesa, la illazione del principo di offensività dalla loro differenziazione funzionale, inesistente nel quadro di specie, al meno essenzialmente, è arbitraria.
Semmai, poichè la pena e la misura rispondono all'offesa, da tale identità funzionale è inferibile il principio in questione. E poichè entrambe rispondono all'autore, sia pure in modo differenziato, e vi rispondono prevenendone la recidiva, in tale identità si rafforza la illazione del principio in questione.
Se entrambe rispondono alla offesa e rispondono all'autore dell'offesa in quanto pericoloso di altra offesa, l'offesa è il centro della progettazione della funzione sanzionatoria criminale. E il grado dello zelo funzionale, della della risposta complessivamente sanzionatoria, della corresponsione sanzionatoria, è grado simmetrica della offesa:
offesa e risposta sanzionatoria sono reciprocamente adeguate.
D'altronde, il principio della adeguatezza reciproca immane alla codificazione.
Dove comunque il grado della offesa è arbitrario, esso riflette l'avviso del legislatore storico a stregua della ordinazione degli interessi che egli mette in campo perchè siano protetti, e arbitraria è quindi quella della risposta sanzionatoria.
Peraltro, poichè tale risposta non è mai ripristinatoria, nè immediatamente nè mediatamente, del bene giuridico offeso; anzi, poichè essa si aggiunge alle risposte ripristinatorie, questo eccesso di tutela, che si estrinseca in un appello all'etica, implicito nella funzione retributiva, e nella funzione rieducativa, in un appello all'etica che si estrinseca, insieme ad esse, in un'enfasi del bene giuridico, ed in un enfasi della sua tutela, non potrebbe assolutamente sottrarsi al principio della offensività dell'illecito penale, almeno in questo momento storico, che svela il problema e dissolve la coltre, di (interessata) superstizione, che lo ha avvolto.
Tanto meno, potrebbe sottrarsi, quando anche le funzioni generalpreventive della pena e della misura fossero tese a presidiare ulteriormente il bene:
se esse minacciano il più grave male, od uno dei mali più gravi, al potenziale autore dell'llecito ( e se, frustrata la minaccia, giungono alla inflizione del male ), la grandezza della offesa non dovrebbe mai sfuggire, dovrebbe sempre essere considerata.
Da ciò, peraltro, verrebbe la grandezza dl bene giuridico. Dunque, da questo sistema, per implicazione viene, nonchè l'offesa, la sua grandezza, nonchè esse, la grandezza del bene giuridico, dell'oggetto della tutela.
Con ciò, anzi, quali che fossero le funzioni della pena e della misura di sicurezza, si identificassero o no, e, comunque, si identificassero o no con quelle viste, basterebbe constatare, comune ad esse, la grandezza del male che infliggono, per esigere almeno pari grandezza del male cui rispondono. Anzi, che la grandezza loro non sia mai maggiore della grandezza sua.
Grandezza della offesa, che si trae anche dalla assolutezza di essa, che non è traibile dalla relatività di essa, nel senso che, se pari o maggiori offese non avessero la stessa risposta (quando, addirittura, non avessero, cinicamente, risposta inversa, di approvazione giuridica e sociale), nemmeno essa dovrebbe averla. Sarebbe vietato dargliela. Tutte le offese pari, che avessero risposta criminale, dovrebbero avere pari risposta. Dove la ricognizione delle offese, e delle risposte corrispondenti, delle offese da illiceizzare penalisticamente, e di quelle da liceizzare sullo stesso piano se non su ogni piano, andrebbe rimessa al popolo, quale sovrano, nemmeno al suo mandatario, così frequentemente infedele, o inadatto). Quale attribuzione della competenza in materia al complesso delle culture date, dove la cultura minoritaria e quella ultraminoritaria, tra esse, fossero comunque sintetizzate, mediate, dalla legge che scaturisse, obbligatoriamente; dove, insomma, fosse impossibile la legislazione "a maggioranza" (se tale, la fonte dovrebbe essere, almeno, "qualificata").
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