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Punti interrogativi sul dolo dell’evento da aberratio ictus. PDF Stampa E-mail
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Scritto da Administrator   
sabato 08 luglio 2006
Il reato in danno di  “persona” diversa da quella designata (art. 82.1 c.p.), sarebbe  doloso (per tutti M. Gallo, Il dolo. Oggetto e accertamento, 1951-1952).  

Orbene

 Quando fosse commesso anche il reato in danno della persona designata (art. 82.2 c.p.), perché le pene (di reati dolosi),  dell’uno e dell’altro, non concorrono “materialmente”, ma  “giuridicamente” (ciò anche prima della L. 220/74, quando le pene,  di più reati per azione unica, in “concorso formale”, come quelli in esame, ex art. 81.1 c.p.,  concorrevano “materialmente”; dopo tale legge, d’altronde, dette pene concorrono “giuridicamente”, ma  con ben altro slancio di quelle in esame: aumento “sino al triplo”, non “fino alla metà”. Altrettanto potrebbe dirsi del concorso “giuridico” delle pene nel reato continuato, ex art. 81.2 c.p., se fosse  evocabile a proposito) ?E perchè il primo reato  è  assimilato (“come se”: art. 82.1 c.p.) piuttosto che ordinato, in guisa di reato concorrente,  al secondo?

 

L’evento “preveduto e voluto”  dal dolo in art. 43.1 c.p. è quello designato o uno qualunque, (purchè) tipologicamente corrispondente?

Potrebbe essere questo l’evento determinato del dolo determinato?

Quando potesse esserlo, come sarebbe discriminabile dall’evento indeterminato del dolo indeterminato?

 

Quando l’evento (“da cui dipende l’esistenza del delitto”: art. 43.1 c.p.) non fosse “conseguenza della azione”, coscientemente e volutamente intenta (art. 42.1, 43.1: “secondo l’intenzione”) a cagionarlo,  esattamente come quello di cui si discute, che seguirebbe ma non conseguirebbe la azione errante o l’errare di quanto causasse, esso sarebbe doloso?

 

Per tanto, non appare probabile che l’assimilazione suddetta agisca ( criminologicamente) sulla pena in vece che sul reato,  nello zelo  della tutela della “persona”?

 

D’altronde, perché, errando l’azione o quanto causi, in art. 83 c.p.,  esattamente come in art. 82 c.p., dell’ “evento” che cagioni  si risponde   “a titolo di colpa”? O perché questo evento sarebbe “diverso da quello voluto” e non lo sarebbe quello, pur causato da  identica azione (perché l’uno sarebbe “colposo e l’altro “doloso”)?  

 

Per giunta, premesso il dolo,  dalla tesi in discussione,  dell’evento “aberrante” in art. 82.1 c.p. (financo, questo fonderebbe il principio della estraneità della identità della persona, dunque dell’evento che la investisse, all’oggetto del dolo!), perchè mai è derogata la regola, mediante il richiamo dell’art. 60 c.p., di esistenza, per l’imputazione, “oggettiva”,  delle circostanze aggravanti  e di quelle attenuanti erroneamente supposte (escluse quelle inerenti l’età, o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa)  riguardanti “le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole”)? 

Cioè, perchè circostanze aggravanti effettivamente esistenti sarebbero disapplicate, circostanze attenuanti effettivamente inesistenti sarebbero applicate? Il favore, del reo, trasparente dalla deroga, non sarebbe  ingiustificabile (al pari, d’altro canto,  del cumulo giuridico della pena nel caso di realizzazione della doppia offesa: art. 82.2 c.p.) da siffatta  premessa?

E inoltre, dato che  l’art. 60 c.p. deroga, alla regola suddetta,  scontando, dal disvalore del reato,  la degradazione infertagli dall’”errore vizio”, nel quale sia incorso il reo,  di appercezione della persona offesa, dalla “adolosità” dell’evento che la investisse,  opererebbe, nell’art. 82 in esame, contra rationem suam, eterogeneticamente?

 

Letteralmente poi:

rispetto la persona designata,  l’offesa  “era diretta” (art. 81.1.2 c.p.), e tale persona “si voleva offendere” (art. 81.1 c.p.);

dunque non era “diretta” alla persona diversa nè “si voleva offendere” questa;

la marcatura letterale della coppia degli eventi, inoltre,  è assai ferma  in art. 83 c.p., ove l’uno è “voluto” e l’altro “non voluto”, nell’identità della azione dolosa.

 

Pertanto

 il reato commesso, in danno di persona diversa da quella designata, non è essenzialmente doloso; d’altronde, l’incongruenza degli apparati logici che  sostengono l’opposto, lo mostra ulteriormente.

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